Ciao mondo!!

Welcome to WordPress.com. This is your first post. Edit or delete it and start blogging!

Pubblicato in Senza categoria | 1 commento

Discussione su YouTube – 1. Mozart: Great Mass in C minor (K. 427) / McCreesh

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

Metrica di Robertson-Walker (in aggiunta al testo “relatività generale”)

 

Integro all’inserzione "relatività generale", una breve descrizione della metrica di Robertson-Walker e FLRW che sembrano essere assenti…

La metrica di Robertson – Walker è una metrica valida in quelle cosmologie dove si assume essere valido il principio cosmologico.

Sviluppata a partire dai lavori di Edward Milne, Howard Robertson e Walker hanno utilizzato l’equazione di campo di Einstein trascurando la costante cosmologica. Secondo le ipotesi fatte in precedenza, la metrica in coordinate sferiche r, φ, θ è:

dove a(t) è il fattore di scala dell’universo all’istante t e k la costante che determina la geometria dell’universo. Essa differisce dalla metrica di Minkowski per la relatività speciale in quanto R(t) dipende dal tempo, e per l’introduzione del fattore k. Quest’ultimo dipende dalla densità critica di materia presente. Al meglio delle conoscenze attuali, molto probabilmente esso è prossimo a 0 o leggermente negativo, e dunque l’Universo sembra destinato ad espandersi per sempre.

Unitamente ai lavori di Friedmann e Lemaître, la metrica è stata espansa per considerare anche universi con costanti cosmologiche. Tale metrica è nota come metrica di Friedmann – Lemaître – Robertson – Walker, o in breve FLRW.

FLRW

La metrica di Friedmann-Lemaître-Robertson-Walker o FLRW è una metrica di Riemann che descrive a grande scala un universo omogeneo, isotropico in espansione o in contrazione.

A seconda delle preferenze di tipo geografico/storico, essa è variamente chiamata con i nomi di un sottoinsieme degli scienziati Alexander Friedmann, Georges Lemaître, Howard Percy Robertson e Arthur Geoffrey Walker; ad esempio, Friedmann-Robertson-Walker (FRW) o Robertson-Walker (RW), anche se quest’ultima è in realtà da considerare differente, in quanto assume alcuni prerequisiti che non sono altrettanto generali.

La metrica FLRW viene utilizzata come prima approssimazione per il modello cosmologico standard del big bang per descrivere l’universo. Poiché la metrica FLRW assume che esso sia omogeneo, alcuni testi divulgativi asseriscono erratamente che il modello del big bang non spiega la non-omogeneità osservata (stelle, galassie, ammassi, superammassi). In realtà la metrica FLRW è utilizzata come prima approssimazione perché semplice da usare nei calcoli, e i modelli che tengono conto della non-omogeneita dell’universo sono aggiunti ad essa come estensioni. Al 2003, le implicazioni teoriche delle varie estensioni alla metrica FLRW sembrano essere ben capite, e ora il traguardo è di renderle consistenti con le osservazioni di COBE e WMAP.

La metrica può essere scritta come

dove:

In questa formulazione della metrica,

La soluzione alla metrica FLRW per un fluido a densità e pressione costante sono date dalle equazioni di Friedmann. La maggior parte dei cosmologi crede che l’universo osservabile sia ben approssimato da un modello quasi FLRW, cioè, un modello che segue la metrica FLRW con in più la presenza delle fluttuazioni primordiali in densità. In un modello strettamente FLRW, non esistono ammassi di galassie, stelle o persone, poiché questi sono oggetti molto più densi di una qualsiasi parte tipica dell’universo (circa 1 atomo per metro cubo oggi).

Tuttavia, si usa chiamare il modello quasi FLRW semplicemente FLRW, per brevità.

Pubblicato in Fisica | 1 commento

Equazione di Schroedinger

L’equazione di Schrödinger rappresenta una delle più importanti conquiste della fisica ed in particolare della meccanica quantistica. Quest’ultima, risalente alla metà degli anni venti, ha preso due direzioni principali: una, battuta da Heisenberg, Bohr, Jordan, che si basa sull’approccio matriciale, l’altra, sviluppata soprattutto da de Broglie e Schrödinger, si basa sull’approccio ondulatorio.

In questa seconda visione si rappresentano le particelle attraverso le così dette funzioni d’onda, poiché le evidenze sperimentali (vedi, ad esempio, l’esperimento di Davisson e Germer) confermavano che anche le particelle posseggono comportamenti ondulatori.

 Le ipotesi di de Broglie

I risultati ottenuti con l’ipotesi di de Broglie portarono allo sviluppo della meccanica quantistica intesa come meccanica ondulatoria. Con de Broglie si associa ad ogni particella un pacchetto d’onda del tipo:

che si propaga con velocità di gruppo:

dove ω è la frequenza angolare o pulsazione intesa come quella centrale del pacchetto d’onde, è il vettore d’onda che identifica la direzione di propagazione del pacchetto, E è l’energia associata alla particella e p il suo impulso cinetico.

Una volta associato il pacchetto d’onda alla particella era necessario scoprire quale equazione fosse in grado di descrivere l’evoluzione del pacchetto d’onda compatibilmente alla meccanica quantistica e interpretarne le soluzioni. In tal senso applicando l’operatore di D’Alembert al pacchetto d’onde si ottiene:

tenendo presente la relazione relativistica dell’energia:

L’equazione scritta sopra è l’equazione di Klein-Gordon: equazione in cui appare un termine a secondo membro che è un termine di sorgente della particella con lunghezza d’onda di Compton. Per particelle con massa nulla come i fotoni l’equazione di Klein-Gordon è una normale equazione di D’Alembert che descrive la propagazione di un’onda elettromagnetica. Formalmente tale equazione è ottenibile mediante le sostituzioni:

L’equazione di Schrödinger

L’equazione di Schrödinger si ottiene dall’equazione di Klein-Gordon nel limite non relativistico, cioè considerando per l’energia lo sviluppo in serie al primo ordine:

definendo la frequenza angolare ω’ non relativistica ottenuta da:

In tal modo usando l’espressione dell’energia non relativistica, l’equazione di klein-Gordon diventa l’equazione di Schrödinger per la particella libera:

In presenza di un potenziale reale , l’equazione di Schrödinger diventa:

Equazione di continuità

Dall’equazione di Schrödinger deriva un’equazione di continuità, infatti moltiplicando l’equazione per la sua complessa coniugata :

dalla quale si vede che chiamando:

ρ = | ψ | 2

e

si deduce l’equazione di continuità:

Con questa equazione di continuità nascono difficoltà interpretative della funzione d’onda e delle soluzioni dell’equazione di Schrödinger. Inizialmente la ρ veniva interpretata come la densità di materia contenuta nel volume e l’equazione di continuità rappresentava così la conservazione della massa. Ma questa interpretazione risultò scorretta. Le evidenze sperimentali della diffrazione di elettroni invece indicavano che gli elettroni avevano un carattere ondulatorio cioè interferivano come le onde luminose e tuttavia si comportavano anche come particelle quando erano prese isolate: per spiegare la diffrazione e l’interferenza di elettroni la funzione d’onda deve essere concepita come una proprietà d’insieme delle particelle, cioè di un pacchetto d’onda piuttosto che come proprietà di una singola particella. Dall’esperimento della diffrazione da due fenditure si evince che gli elettroni interferiscono come onde per le quali si sommano le ampiezze; per esempio nel caso di due onde sull’asse x :

ψ(x) = ψ1(x) + ψ2(x)

Per ricondursi al comportamento di una singola particella bisogna introdurre concetti statistici: allora la probabilità associata alle due onde nell’attraversare una o l’altra fenditura è:

cioè possiede termini di interferenza. Allora la giusta interpretazione della funzione d’onda è quella di probabilità. In ogni caso l’equazione di continuità permette di identificare la classe di funzioni accettabili come soluzioni dell’equazione di Schrödinger, esse sono le funzioni complesse definite su a quadrato sommabile, infatti deve essere:

cioè l’integrale deve convergere ad un numero N finito: questa costante viene scelta N = 1 per compatibilità con il significato probabilistico della funzione d’onda. Quindi le funzioni accettabili come soluzione sono le funzioni che appartengono ad uno spazio lineare complesso chiamato spazio di Hilbert.

Proprietà dell’equazione di Schrödinger

Abbiamo stabilito che l’equazione di Schrödinger è un’equazione al primo ordine nel tempo e che la sua soluzione più generale è del tipo pacchetto d’onde in termini di impulso, in una dimensione:

dove il fattore prima dell’integrale è dovuto alla corretta normalizzazione, dovuta alla interpretazione probabilistica della funzione d’onda. In effetti essendo un’equazione differenziale al primo ordine nel tempo, l’equazione di Schrödinger deve essere accompagnata dalla condizione iniziale della funzione d’onda, per esempio al tempo t = 0 la funzione d’onda:

in modo che la sua evoluzione nel tempo esista determinata per ogni istante t. Abbiamo stabilito anche che la giusta interpretazione della funzione d’onda è che:

P(x,t)dx = | ψ(x,t) | 2dx

rappresenta la probabilità che la particella si trovi nell’intervallo x,x + dx, avendo l’accortezza di normalizzare la funzione d’onda:

che rappresenta il fatto che la probabilità di trovare la particella in qualche punto dello spazio (in questo caso siamo su una retta perché stiamo prendendo solo il caso unidimensionale, ma tutto ciò vale anche nel caso tridimensionale), deve essere 1 con certezza. Abbiamo inoltre stabilito che le funzioni accettabili come soluzioni dell’equazione di Schrödinger sono le funzioni definite in un campo vettoriale complesso e che siano a quadrato sommabili, cioè sia sempre verificata:

e il fatto che sia lineare implica che possiamo considerare la sovrapposizione:

ψ(x,t) = c1ψ1(x,t) + c2ψ2(x,t)

dove che suggerisce valevole il principio di sovrapposizione, essa è anche soluzione dell’equazione di Schrödinger. Un’altra caratteristica delle soluzioni dell’equazione di Schrödinger è che se il modulo quadro della funzione d’onda è importante perché rappresenta una probabilità, la fase dell’onda invece non ha rilevanza fisica.

Valori medi nelle rappresentazioni dell’impulso e della posizione

Poiché il significato della funzione d’onda è probabilistico si può parlare di valore medio di una grandezza fisica. Il valore medio della posizione (unidimensionale per semplicità) nella rappresentazione delle coordinate è dato:

e più in generale una qualsiasi funzione di x:

Il valore medio dell’impulso è invece per analogia con il caso classico:

Risolvendo l’integrando che è uguale a:

si vede che:

cioè

che è la definizione dell’impulso nella rappresentazione delle coordinate e più in generale qualsiasi funzione di p:

Nella rappresentazione degli impulsi il valor medio dell’impulso è semplicemente:

con il significato che | φ(p) | 2dp rappresenta la probabilità che la particella o il sistema abbia momento p determinato nell’intervallo p,p + dp. Il valor medio di una qualsiasi funzione di p in questa rappresentazione è dato:

Vediamo infine che la posizione nello spazio delle coordinate è:

cioè

che è la definizione della posizione nella rappresentazione dell’impulso e più in generale qualsiasi funzione di x:

Da notare la simmetria delle due rappresentazioni. Vediamo che la posizione x e l’impulso p devono avere valore medio reale, poiché sono grandezze fisiche devono essere direttamente misurabili, cioè sono osservabili del sistema, per cui deve valere:

e

cioè in meccanica quantistica le grandezze fisiche di interesse, le osservabili, tra le quali la posizione e l’impulso, sono operatori hermitiani e questo si può verificare direttamente.

Se calcoliamo il commutatore tra la posizione e l’impulso nell’asse x:

cioè si ottiene una delle parentesi fondamentali della commutazione in meccanica quantistica:

che significa che non si possono misurare simultaneamente posizione e impulso in una direzione con precisione. Mentre:

Queste parentesi sono le parentesi fondamentali della meccanica quantistica ed esprimono il principio di indeterminazione di Heisenberg.

L’operatore hamiltoniano

Poiché gli operatori posizione e impulso sono operatori hermitiani, l’equazione di Schrödinger per la particella libera si può scrivere:

dove interviene l’operatore impulso . Generalizzando al caso della presenza di potenziale reale :

Queste due equazioni sono le equazioni fondamentali della meccanica quantistica e si può anche scrivere in forma più generale:

introducendo l’operatore hamiltoniano che rappresenta l’operatore energia che di volta in volta a seconda del problema bisogna scegliere con attenzione. Il valor medio dell’operatore hamiltoniano che deve essere hermitiano è:

Ogni operatore che rappresenta una grandezza fisica in meccanica quantistica ha valor medio calcolabile:

Soluzione generale dell’equazione di Schrödinger

L’equazione di Schrödinger è l’equazione fondamentale della meccanica quantistica. La sua risoluzione in molti casi non è possibile. Tuttavia esiste un metodo di risoluzione generale che va sotto il nome di metodo di fourier per la soluzione di equazioni differenziali, che permette subito di ottenere importanti informazioni sul sistema ed è un metodo generale applicabile in molti problemi fisici di interesse.

Infatti esplicitiamo l’operatore hamiltoniano dell’equazione di Schrödinger unidimensionale:

(1)

l’equazione può essere fattorizzata per variabili, cioè la soluzione può scriversi:

(2)

dove T(t) è una funzione che contiene solo la variabile temporale e X(x) contiene solo la variabile coordinata. Sostituendo la (2) nella (1) si ha:

(3)

Separando le variabili ai due membri cioè dividiamo ambo i membri per e otteniamo che entrambi i membri devono essere uguali ad una stessa costante che chiamiamo E:

(4)

Quindi abbiamo due equazioni separate:

(5)
(6)

L’equazione (5) si risolve subito:

(7)

dove C è una costante, questa dà la dipendenza dal tempo della funzione d’onda ψ(x,t). La seconda equazione (6) è detta equazione di Schrödinger indipendente dal tempo ed ha la forma di un’equazione agli autovalori per l’operatore hamiltoniano infatti:

(8)

essa rappresenta gli stati stazionari del sistema, cioè gli stati che non dipendono dal tempo. Questa equazione si risolve trovando lo spettro degli autovalori che può essere discreto o continuo o nel caso più generale sia discreto che continuo e quindi degli autovettori associati in modo che nel caso più generale la funzione d’onda si può scrivere:

(9)

dove CE,C(E) sono coefficienti dipendenti da E, i primi nel caso discreto e i secondi nel caso continuo, mentre E rappresenta l’energia del sistema. Quindi l’operatore hamiltoniano fornisce la dipendenza temporale della funzione d’onda e permette tramite la soluzione dell’equazione di Schrödinger di risolvere il problema agli autovalori per l’energia.

Supponiamo inizialmente che la soluzione dell’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo (9) abbia uno spettro discreto di autovalori, allora la funzione d’onda ψ(x) può essere sviluppata per la (9) come:

(10)
ψ(x) =

CEuE(x)

E

dove i coefficienti CE sono automaticamente determinati, infatti:

(11)

dove uE(x) sono ancora le autofunzioni dell’energia. L’unica restrizione è che la funzione d’onda deve essere normalizzata e a quadrato sommabile:

(12)

e di conseguenza anche le autofunzioni devono essere normalizzate:

(13)

L’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo si scrive:

(14)

La soluzione della (13) con la sostituzione della (10) è:

(15)

quindi la funzione d’onda completa è:

(16)

Se lo spettro è continuo invece si può sviluppare la funzione d’onda in termini di autofunzioni di energia nel modo:

(17)

dove uE(x) sono ancora autofunzioni dell’energia, e questi devono essere normalizzate:

(18)

dove interviene la funzione Delta di Dirac. I coefficienti C(E) sono automaticamente determinati, infatti:

(19)

quindi la funzione d’onda completa è:

L’equazione di Schrödinger unidimensionale ammette una proprietà speciale: non esistono degenerazioni dei livelli di energia: ad ogni autovalore En discreto corrisponde un solo autostato.

L’equazione di Schrödinger, però, non rappresenta le particelle che si muovono a velocità ed energia relativistica. Risultò, pertanto, fondamentale introdurre anche il formalismo della relatività speciale, che portò alle due equazioni di Klein Gordon e di Dirac, che rappresentano, rispettivamente, particelle a spin 0 (dette anche particelle scalari) e particelle a spin .

MI SCUSO PER L’ASSENZA DEL CONTRIBUTO DI KLEIN-GORDON ALLA FORMULAZIONE DELL’EQUAZIONE DI SCHROEDINGER…AD OGNI MODO ASPETTO COMMENTI..

Pubblicato in Fisica | 2 commenti

Erwin Schrödinger biografia

Erwin Rudolf Josef Alexander Schrödinger (Vienna12 agosto 1887 – Vienna4 gennaio 1961) è stato un fisico e matematico austriaco. È famoso per il suo contributo alla meccanica quantistica, in particolar modo per l’Equazione di Schrödinger, per la quale vinse il Premio Nobel nel 1933.

Schrödinger nacque nel 1887 a Vienna (Erdberg), da Rudolf Schrödinger (produttore di tela cerata e botanico) e da Georgine Emilia Brenda (figlia di Alexander Bauer, Professore di Chimica, alla Technische Hochschule di Vienna). Nel 1898, frequenta l’Akademisches Gymnasium. Tra il 1906 e il 1910, Schrödinger studia a Vienna con Franz Serafin Exner (18491926) e Fritz Hasenöhrl (18741915). Egli inoltre conduce dei lavori sperimentali a Kohlrausch. Nel 1911, Schrödinger diventa assistente di Exner.

Nel 1914, Schrödinger consegue l’abilitazione (venia legendi). Dal 1914 al 1918, viene coinvolto dalla partecipazione austriaca alla prima guerra mondiale (Görz, Duino, Sistiana, Prosecco, Vienna). Nel 1920, il 6 aprile, Schrödinger sposa Annemarie Bertel. Sempre nel 1920, diventa assistente di Max Wien a Jena, e nel settembre dello stesso anno ottiene la posizione di "Ausserordentlicher Professor" a Stoccarda. Nel 1921, diventa "Ordentlicher Professor" (ovvero professore a pieno titolo), a Breslavia (l’attuale Wroclaw, in Polonia)

Nel 1922, passa all’Università di Zurigo. Nel 1926, Schrödinger pubblica negli Annalen der Physik lo scritto "Quantisierung als Eigenwertproblem" (Quantizzazione come problema agli autovalori) dove espone la sua equazione. Nel 1927, segue Max Planck a Berlino, all’Univerisità Humboldt. Nel 1933, Schrödinger finito il termine, diventa Fellow del Magdalen College, all’Università di Oxford, e riceve il Premio Nobel per la fisica assieme a Paul Adrien Maurice Dirac. Nel 1934, Schrödinger tiene lezioni all’Università di Princeton (dove non accetterà una posizione permanente).

Nel 1936 torna in Austria all’Università di Graz. Nel 1938, dopo che Hitler ha occupato l’Austria, ebbe dei problemi per aver lasciato la Germania nel 1933 e per le sue note preferenze politiche, e fu sottoposto a perquisizioni e investigazioni. Lasciò l’Austria passando da Italia e Svizzera e tornò ad Oxford. All’Istituto di Studi Avanzati di Dublino divenne direttore della Scuola di Fisica Teorica. Scrisse altre 50 pubblicazioni su vari argomenti, che si possono considerare un tentativo in direzione di una teoria di campo unificata.

Nel 1944, scrisse "What is Life?" (che contiene Negentropy, concepts for genetic code). Secondo le memorie di James D. Watson, DNA, The Secret of Life, il libro del 1944 di Schrödinger, diede a Watson l’ispirazione per ricercare il gene, che portò alla scoperta della struttura a doppia elica del DNA. Schrödinger rimase a Dublino fino al suo pensionamento. Nel 1955, fece ritorno a Vienna (cattedra ad personam). All’importante Conferenza sul Potere Mondiale, si rifiutò di parlare dell’energia nucleare, a causa del suo scetticismo sull’argomento (tenne invece una conferenza filosofica).

Nel 1961, Schrödinger morì a Vienna, all’età di 73 anni, per via della tubercolosi. Venne sepolto ad Alpbach (Austria).

Pubblicato in Fisica | Lascia un commento

Relatività generale

La Relatività generale è una teoria fisica pubblicata da Albert Einstein nel 1915. Essa e la sua derivata teoria di Brans-Dicke, costituiscono le due sole teorie metriche della gravitazione che non siano falsificate dagli esperimenti attuali.

Come disse lo stesso Einstein, fu il lavoro più difficile della sua carriera di teorico a causa delle difficoltà matematiche da superare, poiché si trattava di far convergere concetti di geometria euclidea in uno spazio che poteva non esserlo.
Le basi matematiche erano state esplorate in precedenza dal lavoro di Lobacevskij, Bolyai e Gauss, che avevano dimostrato la non necessarietà del quinto postulato di Euclide (enunciabile nella forma di Playfair con l’affermazione due rette parallele restano sempre equidistanti); inoltre il formalismo per uno spazio non-euclideo era stato sviluppato da Riemann, studente di Gauss. Tale formalismo era stato messo da parte come non applicabile alla realtà, fino all’introduzione appunto della relatività generale.

Riflessioni iniziali e Relatività Speciale

Uno dei motivi che spinsero Einstein ad indagare in questa direzione fu una questione di simmetria: la relatività ristretta aveva stabilito l’uguaglianza di tutti i sistemi inerziali, lasciando fuori i sistemi accelerati, che possono collegarsi solo tenendo conto di forze ben individuabili con vari esperimenti. Questo poneva i sistemi inerziali su una posizione privilegiata, diversa rispetto ai non inerziali, fatto che turbava Einstein dal punto di vista della completezza e dell’eleganza della struttura teorica.

In più, la relatività ristretta aveva mostrato che lo spazio ed il tempo devono essere trattati insieme se si vogliono ottenere risultati coerenti; il tempo era diventato una coordinata come le altre 3 e ad impedire certi movimenti in questo spazio a 4 dimensioni c’è solo il principio di causalità.

Un celeberrimo esperimento ideale, noto come ascensore di Einstein, fu l’intuizione da cui prese le mosse tutto il successivo sviluppo della teoria: su un ascensore in caduta libera dovuta a un campo gravitazionale, senza possibilità di vedere all’esterno, un osservatore supporrebbe di essere in assenza di gravità; per provarlo, egli lascia cadere una moneta ed osserva che la moneta resta alla stessa altezza nella cabina ovvero non cade rispetto ad essa, che per l’osservatore è l’unico punto di riferimento. Questo porterebbe allora a dire che un sistema in caduta libera in un campo gravitazionale, è indistinguibile (almeno per un certo periodo) da un altro non sottoposto ad alcuna forza.
D’altra parte, quando l’ascensore posto in un campo gravitazionale sta fermo, l’osservatore sente la forza di gravità (e una moneta lasciata libera cade ai suoi piedi); non appena l’ascensore inizia a cadere, la moneta resta a mezz’aria: in questo caso l’osservatore può pensare che sia comparso all’improvviso un campo gravitazionale dalla direzione del soffitto, che bilancia esattamente quello di partenza; di nuovo non può decidere quale delle due situazioni si sta verificando.

Quindi, i sistemi accelerati non dovevano essere così eccezionali.

Da questi presupposti, Einstein cercò di costruire una visione della realtà parallela a quella della legge d’inerzia: mentre per la legge d’inerzia un corpo non sottoposto a forze si muove di moto uniforme (velocità costante in modulo e direzione e quindi lungo una retta), un corpo sottoposto alla sola gravità si muove nello spazio-tempo, deformato dal campo gravitazionale, lungo una traiettoria che costituisce il percorso più breve tra due punti (in uno spazio euclideo, quindi non deformato, tale traiettoria coincide proprio con il segmento rettilineo che unisce due punti).

Dalla relatività ristretta alla relatività generale

In regioni dello spazio-tempo a 4 dimensioni infinitamente piccole, per le quali è possibile un’accelerazione del sistema di coordinate in maniera da non indurre alcun campo gravitazionale, resta valida la relatività ristretta. Vale, cioè, che:

ds2 = − (dX1)2 − (dX2)2 − (dX3)2 + (dX4)2

Il valore del ds non dipende dal sistema di coordinate ( da dove colloco l’origine degli assi e dal suo orientamento). Questo sistema è fatto di 4 assi cartesiani e, perciò, non è disegnabile, sebbene segua le regole di una geometria euclidea. Einstein introduce il concetto di coordinata temporale, che si aggiunge ai tre assi "spaziali" del sistema cartesiano. La precedente formula è un risultato fondamentale della relatività ristretta: essa può essere generalizzata tramite un cambio di coordinate.

Tuttavia, è necessaria una scelta conveniente del sistema di coordinate: occorre che l’unità di misura della coordinata temporale x4 sia scelta in modo che la velocità della luce nello spazio vuoto, misurata nel sistema locale, sia pari a 1. Resta libera la scelta delle tre coordinate spaziali.

Misurando lo spazio e il tempo, l’equazione consente di determinare la lunghezza dell’elemento lineare ds che congiunge due punti dello spazio-tempo infinitamente vicini. L’equazione è la definizione di questa grandezza fisica, che resta definita in quanto misurabile.

Nonostante si tratti di un termine quadratico, ds2 può assumere valore negativo: seguendo l’impostazione di Minkowski, se ds2 < 0 l’elemento ha natura di uno spazio (termini spaziali prevalenti su quello temporale); viceversa, se ds2 > 0, l’elemento ha natura di un tempo. In definitiva, non c’è una netta demarcazione fra spazio e tempo, ma appunto un "continuum": si dice che è uno spazio o un tempo, a seconda che l’elemento è "più uno spazio" o "più un tempo", in base alla componente che prevale. Analoga conferma viene dalla matrice simmetrica del tensore fondamentale, mostrata a conclusione del paragrafo, nella quale in presenza di un campo gravitazionale compaiono componenti miste, che appartengono a due delle 4 dimensioni del continuum.

Facendo tendere a zero il ds, con la relatività ristretta si ricava la propagazione della luce.

L’equazione, che assegna un segno opposto alle coordinate spaziali e a quella temporale, afferma che dove lo spazio si contrae il tempo si dilata (passa più lentamente) e, viceversa, dove lo spazio si dilata, il tempo si contrae.

Propriamente, un punto non ha significato fisico. L’elemento base della teoria è detto punto piccolo infinitesimale, che in realtà è un segmento piccolo arbitrariamente che tende a una lunghezza zero, ossia due punti che tendono a coincidere in uno solo.

Il passo successivo è la definizione di una geodetica, ossia di una traiettoria "naturale" del punto nello spazio-tempo. Come l’elemento lineare ds, essa è una linea che unisce due punti dello spazio tempo. La particolarità è che per una geodetica si ha un estremo per . La geodetica pertanto non dipende dal sistema di riferimento, in quanto legata, nella sua definizione, ad una somma (integrale nel continuo) di elementi lineari ds la cui definizione non dipende dal sistema di coordinate.

Einstein tratta il tema nel paragrafo "Relazione delle quattro coordinate con le proprietà metriche dello spazio e del tempo. Espressione analitica per il campo gravitazionale".

Definito l’elemento ds e la sua natura di spazio o tempo, a seconda del segno positivo o negativo, scrive:

<<All’elemento lineare di cui ci stiamo occupando, vale a dire ai due punti-eventi infinitamente vicini, corrisponderanno anche certi differenziali dx1,…,dx4 delle coordinate quadridimensionali del sistema di riferimento prescelto.

Se tale sistema e il sistema "locale" del genere descritto sopra sono dati per la regione in esame, i differenzali dx, possono venire rappresentati mediante espressioni lineari omogenee dei dxσ, ossia:

dXν = dxσ.

Sostituendo nella formula per il calcolo di dX, si ottiene:

ds2 = gστdxσdxτ,

ove le componenti gστ saranno funzioni delle xσ le quali non possono ulteriormente dipendere dall’orientamento del sistema "locale" di riferimento. Ciò perché ds2 è una grandezza determinabile mediante misure fatte con campioni di lunghezza ed orologi appartenenti a punti-eventi infinitesimi prossimi nello spazio-tempo, e definiti indipendentemente da ogni particolare scelta delle coordinate.

Le gστ debbono venire scelte in modo tale che gστ = gτσ; la sommatoria deve essere estesa a tutti i valori di τ e σ , cosicché la somma consta di 4*4 addendi, 12 dei quali sono eguali a due a due.

Il caso dell’ordinaria teoria della relatività (Teoria della relatività ristretta, n.d.A.) si deduce da quello considerato allorquando è possibile, a motivo delle particolari relazioni delle gστ in una regione finita, scegliere il sistema di riferimento in quella regione in modo tale che le gστ assumano ovunque i valori (costanti):

Introdotta la matematica dei tensori, vettori covarianti e controvarianti, completa la trattazione dell’elemento ds:

<<Nell’espressione invariante del quadrato di elemento lineare ds2 = gμνdxμdxν si comportano come quelle di un vettore controvariante che può venir scelto arbitrariamente.

Poiché d’altra parte è noto che gμν = gνμ, concludiamo che gμν è un tensore doppio covariante. Ad esso diamo il nome di "tensore fondamentale">>.

dxμ e dxν sono vettori controvarianti che possono essere scelti arbitrariamente.

Quindi, Einstein applica la matematica del tensore e le proprietà del tensore fondamentale, per dedurre il tensore di Riemann-Christoffel.

Fondamenti della teoria

In presenza di sistemi accelerati (o, che è lo stesso, sistemi sotto l’influenza della gravità), si possono definire come inerziali solo zone locali di riferimenti e per brevi periodi. Questo corrisponde ad approssimare con una superficie piana ciò che sarebbe una superficie curva su larga scala. In tali situazioni valgono ancora le leggi di Newton.

Ora il principio di equivalenza afferma che non esiste un esperimento locale per distinguere tra una caduta libera in un campo gravitazionale ed un moto uniforme in assenza di campo (ascensore di Einstein)

Matematicamente, Einstein descrive lo spazio-tempo come uno pseudo-spazio di Riemann a 4 dimensioni; la sua equazione di campo lega la curvatura in un punto al tensore energia in quel punto, essendo tale tensore dipendente dalla densità di materia ed energia.
L’equazione di campo indicata da Einstein non è l’unica possibile, ma si distingue per la semplicità dell’accoppiamento tra materia/energia e curvatura.

Tale equazione contiene un termine Λ, chiamato costante cosmologica, introdotto da Einstein per permettere un universo statico. Nella decina di anni successiva, osservazioni di Hubble mostrarono che l’universo è (o comunque appare) in espansione ed il termine cosmologico venne omesso (lo stesso Einstein giudicò la sua introduzione l’errore più grave da lui commesso nella vita). Sembra però che Einstein fosse condannato ad avere ragione anche quando sbagliava: come successe per la teoria dei quanti, che contribuì a fondare per poi ritenere sbagliati certi principi (come il principio di indeterminazione di Heisenberg), anche la costante cosmologica è stata riabilitata. Nel 1998, l’osservazione dello spostamento verso il rosso di supernove lontane, ha costretto gli astronomi a impiegare una costante cosmologica per spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’Universo.

La forma dell’equazione di campo è:

dove:
: tensore di curvatura di Ricci,
: scalare di curvatura di Ricci, cioè la traccia di
: tensore metrico,
: costante cosmologica,
: tensore stress-energia,
: velocità della luce,
: costante gravitazionale.

Il tensore descrive la metrica dello spazio-tempo ed è un tensore simmetrico 4×4, che quindi ha 10 componenti indipendenti. Si deve però tenere conto della libertà di gauge della teoria: è possibile effettuare una trasformazione qualunque sulle quattro coordinate, il che porta a sei le componenti effettivamente indipendenti.

Soluzioni dell’equazione di campo

Le soluzioni dell’equazione di campo dipendono dal sistema che si sta considerando. Possono inoltre distinguersi in soluzioni locali o globali.

Le soluzioni locali, in cui si considera per esempio una massa posta nell’origine del sistema di riferimento, presuppongono una metrica che descriva uno spazio-tempo piatto per grandi distanze dall’origine. Queste soluzioni si dividono a seconda dei valori assunti dai parametri m (massa), a (momento angolare), Q (carica elettrica), tutte quantità espresse con la convenzione semplificativa G = c = 1. Ovviamente nel caso Q sia non nulla, oltre all’equazione di campo di Einstein, si dovranno risolvere simultaneamente le equazioni di Maxwell del campo elettro-magnetico. Inoltre si distinguono soluzioni nel vuoto quando Tik è nullo, o nella materia quando Tik è non nullo (per materia si intende sia massa che energia).

Le soluzioni più conosciute utilizzate in cosmologia sono

Vi sono poi quelle utilizzate per lo studio teorico dei buchi neri, derivate ponendo Λ = 0 e Tik = 0:

  • m≠0, a=0, Q=0 (corpo dotato di massa, non rotante, scarico): soluzione di Schwarzschild.
  • m≠0, a≠0, Q=0 (corpo dotato di massa, rotante, scarico): soluzione di Kerr.
  • m≠0, a=0, Q≠0 (corpo dotato di massa, non rotante, carico): soluzione di Reissner-Nordstrøm.
  • m≠0, a≠0, Q≠0 (corpo dotato di massa, rotante, carico): soluzione di Kerr-Newmann.

Dal precedente prospetto si può vedere come, una volta ricavata la metrica (ovvero il ) di Kerr-Newmann, si possano ricavare tutte le altre per semplificazione, ponendo di volta in volta i vari parametri a zero.

Nel 2005 Franklin Felber ha pubblicato la prima soluzione delle equazioni di campo per corpi in movimento, generalizzando poi il risultato in un metodo per ricavare soluzioni esatte delle equazioni differenziali tramite il calcolo frazionale [1]. La soluzione di Felber descrive una caratteristica spinta antigravitazionale, dal punto di vista di un osservatore esterno, per una massa che cade in un buco nero in movimento [2]

Metrica di Kerr-Newmann

La metrica di Kerr-Newmann è dunque con m≠0, a≠0 e Q≠0, ed è quindi a simmetria assiale:

dove

  • Δ = r2 − 2Mr + Q2 + a2

raccogliendo i termini con i differenziali simili

ds2

− ΣΔ − 1dr2

si può scrivere la matrice che rappresenta il tensore metrico

Metrica di Kerr [modifica]

Annullando Q nella metrica di Kerr-Newmann si ottiene la metrica di Kerr, soluzione dell’equazione di campo (senza campo elettromagnetico), anch’essa a simmetria assiale:

dove ora

  • Δ = r2 − 2Mr + a2

Operando lo stesso tipo di raccoglimento che per la metrica di Kerr-Newmann, si può scrivere la rappresentazione matriciale del tensore metrico

Metrica di Reissner-Nordstrøm [modifica]

Se nella metrica di Kerr-Newmann, invece della carica elettrica Q, si annullasse il momento angolare a, si otterrebbe la metrica di Reissner-Nordstrøm, a simmetria sferica:

dove

Δ = r2 − 2Mr + Q2

Σ = r2

e la rappresentazione matriciale è

Metrica di Schwarzschild

Se infine si pongono a=0 e Q=0 si ottiene la metrica di Schwarzschild, soluzione delle equazioni di Einstein (senza campo elettro-magnetico) in simmetria sferica. Si avrà quindi

sapendo che ora

Δ = r2 − 2Mr

Σ = r2

e in forma matriciale su avrà

La metrica è singolare nei punti ove è singolare la matrice gik (in tal caso si estende il concetto di singolarità per comprendere anche ). Per la metrica di Schwarzschild ciò avviene quando

  • r = 0

Nel primo caso si ha una singolarità eliminabile cambiando coordinate (passando ad esempio alle coordinate di Kruskal). Il valore R = 2M è noto come raggio di Schwarzschild (ovvero la distanza dal centro del buco nero a cui si forma l’orizzonte degli eventi). Il fatto che tale singolarità sia dovuta solo ad una cattiva scelta delle coordinate è verificato facilmente sapendo ad esempio che lo scalare di curvatura non è ivi divergente, o notando che le geodetiche possono essere prolungate attraverso l’orizzonte degli eventi. Nel secondo caso, viceversa, si tratta di una singolarità non eliminabile e corrisponde ad una curvatura infinita dello spazio-tempo (lo scalare di curvatura è divergente), spesso raffigurata come un imbuto senza fine, una smagliatura nel tessuto spaziotemporale.

Conferme sperimentali

Pur essendo stata formulata quasi un secolo fa, ancora oggi la relatività generale resta per molti un quadro piuttosto oscuro, che probabilmente ancora oggi pochi riescono a comprendere appieno, come disse anche lo stesso Feynman.
A tutt’oggi vengono proposti esperimenti per la conferma o meno di tale teoria, che al momento attuale ha sempre resistito agli attacchi. Sono indicati qui sotto solo i più importanti.

La prima conferma, poi rivelatasi impropria, si ebbe nel 1919, quando osservazioni di Arthur Eddington durante un’eclisse di Sole confermarono la visibilità di alcune stelle vicine al bordo solare, che in realtà avrebbero dovuto essere invisibili: i fotoni luminosi venivano deviati dal Sole della quantità prevista dalle equazioni. In realtà, le osservazioni avevano un errore medio dello stesso ordine di grandezza dell’effetto considerato. La prima vera conferma fu la spiegazione del moto di precessione del perielio di Mercurio, inspiegabile con la gravitazione Newtoniana, ma previsto dalla relatività generale.

Un’altra conferma più recente, ma ormai completamente accettata dalla comunità scientifica, è l’effetto lente gravitazionale di cui le osservazioni di Eddington sono un caso particolare. La luce emessa da una sorgente lontana, transitando nelle vicinanze di un oggetto molto massiccio può venire deviata, con un effetto complessivo che può sdoppiare (o meglio trasformare in un anello), l’immagine della sorgente.

È relativamente recente la scoperta indiretta dell’esistenza dei buchi neri, oggetti pesanti e compatti, dalla cui superficie non può sfuggire (quasi) nulla, essendo la velocità di fuga superiore a quella della luce. Quasi nulla in quanto il fisico Stephen Hawking ha dimostrato come i buchi neri evaporino perdendo particelle, per lo più fotoni, tanto più velocemente quanto più piccola è la massa del buco nero. Questo risultato deriva direttamente dalla conservazione del secondo principio della termodinamica, ed è stata la prima applicazione congiunta di relatività generale e meccanica quantistica.

Sono recentemente in atto alcuni esperimenti per la registrazione di onde gravitazionali, anch’esse previste dalla teoria: tali onde si svilupperebbero quando due corpi con un enorme campo gravitazionale orbitano a distanza ravvicinata l’uno con l’altro. Uno dei più grandi rilevatori è il progetto VIRGO, situato a Cascina, vicino Pisa.

Un altro risultato che confermerebbe la teoria è il cosiddetto frame dragging, ossia il trascinamento del sistema di riferimento da parte di masse in rotazione: oltre alla sonda Gravity Probe B della NASA, un articolo di un ricercatore dell’Università di Bari ha utilizzato i dati dell’ orbita del satellite Mars Global Surveyor (MGS), confermando entro l’errore di meno dell’1% le previsioni della teoria (Iorio 2007).

Nel 2004 alcuni ricercatori della Cornell University hanno provato a simulare una diversa costante gravitazionale per fermioni e bosoni, e hanno rilevato che questa ipotesi sembra essere in accordo con l’abbondanza relativa dell’elio nell’universo primordiale.

Tuttavia il destino della relatività generale è segnato, così come quello della meccanica quantistica: infatti la prima è una teoria classica, in cui non si tiene conto del carattere quantizzato della materia e dell’energia, e quindi va intesa come una media su un numero grande di particelle, le cui previsioni cessano di essere valide quando si raggiungono condizioni tipiche delle interazioni quantistiche, ossia per tempi vicini al tempo di Planck e lunghezze prossime alla lunghezza di Planck; la seconda, invece, non tiene conto degli effetti relativistici, ponendo le particelle in uno spazio-tempo assoluto, e dunque le sue previsioni cessano di essere valide quando gli effetti relativistici diventano significativi.

L’unificazione delle due teorie, la cosiddetta teoria quantistica della gravitazione è uno degli obiettivi più importanti per la fisica del XXI secolo.

ASPETTO COMMENTI E DISCUSSIONI A RIGUARDO

Pubblicato in Fisica | Lascia un commento

Biografia di Abert Einstein

Albert Einstein, nasce il 14 marzo del 1879 a Ulm, in Germania, da genitori ebrei non praticanti. Un anno dopo la sua nascita la famiglia si trasferisce a Monaco di Baviera, dove suo padre Hermann apre, col fratello Jacob, una piccola officina elettrotecnica. L’infanzia di Einstein si svolge nella Germania di Bismarck, un paese in via di massiccia industrializzazione, ma anche retto con forme di dispotismo che si fanno sentire a vari livelli e in vari ambienti della struttura sociale.

Il piccolo Albert era per istinto un solitario ed impara a parlare molto tardi. L’incontro con la scuola è da subito difficile: Albert, infatti, trovava le sue consolazioni a casa, dove la madre lo avvia allo studio del violino, e lo zio Jacob a quello dell’algebra. Da bambino, legge libri di divulgazione scientifica con quella che definì "un’attenzione senza respiro". Non a caso, in seguito con amarezza dei primi corsi scolastici. Odiava i sistemi severi che rendevano la scuola, a quei tempi, simile ad una caserma.

Nel 1894 la famiglia si trasferisce in Italia per cercarvi miglior fortuna con una fabbrica a Pavia, vicino a Milano. Albert rimase solo a Monaco affinché terminasse l’anno scolastico al ginnasio, poi raggiunse la famiglia.

Gli affari della fabbrica cominciarono ad andare male e Hermann esortò il figlio a iscriversi al famoso Istituto Federale di Tecnologia, noto come Politecnico di Zurigo. Non avendo però conseguito un diploma di scuola secondaria superiore, nel 1895 dovette affrontare un esame di ammissione e fu bocciato per insufficienze nelle materie letterarie. Ma ci fu di più il direttore del Politecnico, impressionato dalle non comuni capacità mostrate nelle materie scientifiche, esortò il ragazzo a non rinunciare alle speranze e a ottenere un diploma abilitante per l’iscrizione al Politecnico nella scuola cantonale svizzera progressiva di Aargau. Qui Einstein trovò un’atmosfera ben diversa da quella del ginnasio di Monaco. Nel 1896 può finalmente iscriversi al Politecnico. Lì prende una prima decisione non farà l’ingegnere ma l’insegnante.

In una sua dichiarazione dell’epoca dirà, infatti, "Se avrò fortuna nel passare l’esame, andrò a Zurigo. Lì starò per quattro anni per studiare matematica e fisica. Immagino di diventare un insegnante in quei rami delle scienze naturali, scegliendo la parte teorica di esse. Queste sono le ragioni che mi hanno portato a fare questo piano. Soprattutto, è la mia disposizione all’astrazione e al pensiero matematico, e la mia mancanza di immaginazione e di abilità pratica".

Nel corso dei suoi studi a Zurigo matura la sua scelta: si dedicherà alla fisica piuttosto che alla matematica.

Si laurea nel 1900. Prende dunque la cittadinanza svizzera per assumere un impiego all’Ufficio Brevetti di Berna. Il modesto lavoro gli consente però di dedicare gran parte del suo tempo allo studio della fisica.

Nel 1905 pubblica tre studi teorici. Il primo e più importante studio contiene la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta. Il secondo studio, sull’interpretazione dell’effetto fotoelettrico, conteneva un’ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli affermò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, ipotizzando che l’energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della radiazione. Quest’affermazione, in base alla quale l’energia contenuta in un fascio luminoso viene trasferita in unità individuali o quanti, dieci anni dopo fu confermata sperimentalmente da Robert Andrews Millikan. Il terzo e più importante studio è del 1905, e reca il titolo "Elettrodinamica dei corpi in movimento": conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell’interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l’uno rispetto all’altro. è proprio quest’ultimo studio che gli valse in seguito il premio Nobel per la Fisica nel 1921.

Nel 1916 pubblica la memoria: "I fondamenti della teoria della Relatività generale", frutto di oltre dieci anni di studio. Questo lavoro è considerato dal fisico stesso il suo maggior contributo scientifico e si inserisce nella sua ricerca rivolta alla geometrizzazione della fisica.

Intanto, nel mondo i conflitti fra le nazioni avevano preso fuoco, tanto da scatenare la prima guerra mondiale. Durante questo periodo fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare appunto la teoria della relatività.
Con l’avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne offerta una cattedra presso l’Institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse assieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l’inizio dei piani per la costruzione dell’arma nucleare.

Einstein ovviamente disprezzava profondamente la violenza e, conclusi quei terribili anni, s’impegnò attivamente contro la guerra e le persecuzioni razziste, compilando una dichiarazione pacifista contro le armi nucleari.
Più volte, poi, ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici.

Morì, a Princeton, il 18 aprile 1955, circondato dai più grandi onori.

 

Pubblicato in Fisica | 2 commenti